In un'intervista pubblicata il 29 maggio scorso sul Corriere della Sera il prof. Natalino Irti, professore emerito nell’Università di Roma La Sapienza e accademico dei Lincei, si domanda se i rapporti contrattuali, nati nel ”prima”, possano non tenere conto di quanto accaduto e del conseguente mutamento delle condizioni sostanziali.
Anche ad avviso di chi scrive la domanda non può che avere una risposta negativa; ciò detto si tratta di comprendere se gli strumenti che vengono concessi alle parti dalla normativa vigente sono sufficienti, ovvero è necessario l'intervento "straordinario" del legislatore.
Sul punto il prof. Irti prefigura un intervento del legislatore laddove le parti non riescano a rinegoziare il contratto, ritenendo nel caso di specie indispensabile il ricorso a commissione tecniche di arbitratori di carattere neutrale, ovvero di soggetti esperti e competenti nelle vicende dell’economia e della finanza, i quali, con determinazione inappellabile e definitiva, ricostruiscano il contenuto del rapporto.
Secondo il cattedratico «Quando le parti da sole non riescano a “rinegoziare”, allora sarebbe indispensabile il ricorso a ”commissioni tecniche di arbitratori”, che utilizzino criteri correttivi di carattere neutrale (come le indagini mensili dell’Istat circa settori economici e categorie di imprese). Qui occorrerebbe apposita legge, esplicativa del principio di sopravvenienza e istitutiva delle “commissioni”: collegi di “arbitratori”, e non di ”arbitri” ossia, non di giudici privati, ma di soggetti esperti e competenti Si applicherebbe così una soluzione sperimentata già all’indomani delle due guerre mondiali. Come sapevano i nostri antichi maestri, i rapporti giuridici di carattere continuativo dipendono dal futuro; il futuro ha riservato ad essi la sopravvenienza del coronavirus. “E gli imprevisti ci sono sempre”: dice, appunto, un personaggio di Camus»
Come già evidenziato nell'intervento di cui si è riportato parte del contenuto i recenti eventi hanno certamente inciso su molti contratti aventi come tratto caratteristico la durata del rapporto.
E' infatti palese che nei contratti per i quali il sinallagma è costituito dallo scambio di una prestazione e di una controprestazione ed aldilà della sospensione degli effetti collegati al ritardo dell'adempimento prevista dalla legislazione emergenziale, il ripristino delle condizioni operative ordinarie comporta esclusivamente una valutazione delle parti in merito all'eseguibilità delle prestazioni reciproche ed alla eventuale rideterminazione delle stesse in considerazione delle mutate condizioni economiche.
Al mancato accordo in merito alla modifica dell'oggetto contrattuale consegue necessariamente la risoluzione nel contratto per la sopravvenuta impossibilità della prestazione ovvero per eccessiva onerosità sopravvenuta a carico di una delle parti (artt. 1463 e ss.; 1467 e s.s. c.c. laddove ovviamente ne sussistano i presupposti).
Diverso è il caso dei contratti di durata laddove le parti devono valutare se i fatti sopravvenuti abbiano inciso sull'entità della prestazione frazionata e in quale misura.
A ciò si aggiunge un ulteriore problema da risolvere ovvero la durata della eventuale riduzione di una delle due prestazioni in considerazione del permanere degli effetti economici negativi che hanno provocato la modifica contrattuale.
Ragionando in particolare dei contratti aventi per oggetto il godimento di beni quali la locazione o l'affitto di beni immobili ad uso commerciale, se infatti è pacifico che la situazione emergenziale ha provocato una riduzione oggettiva o addirittura l'impossibilità assoluta di usufruirne, non è altrettanto chiaro quali siano gli effetti ulteriori di tale situazione in termini di durata.
In sostanza ad opinione di chi scrive se appare ovvio che le parti debbano prendere atto che al periodo di inattività debba conseguire una conseguente rideterminazione del canone, non è del tutto scontata (anzi!) la valutazione in merito alla durata ed all'entità della riduzione per i canoni successivi al termine nel periodo di chiusura.
Non è quindi di facile soluzione il problema che è stato proposto all'attenzione del legislatore posto che, rebus sic stantibus, un intervento diretto a regolare la volontà delle parti in un rapporto di diritto privato deve avere delle ragionevoli basi collegate ad interessi pubblici che giustifichino la prevalenza sugli interessi delle parti.
L'eventuale rideterminazione ex lege di qualsiasi corrispettivo collegato a un rapporto di godimento di un bene immobile deve quindi trovare fondamento in un interesse pubblico che lo giustifichi posto che altrimenti, sempre ad avviso di chi scrive, l'ordinamento già prevede dei rimedi alternativi consegnati alla volontà delle parti, ovvero alla valutazione giurisdizionale della magistratura ordinaria che potrà considerare l'entità della riduzione della prestazione, sia in termini di entità che di durata, avvalendosi dei consulenti da questa nominati.
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