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Stato di crisi dell'impresa: le prime riflessioni dell'Ufficio del Massimario della Suprema Corte

Aggiornamento: 14 mar

Tra i primi argomenti affrontati nella Relazione su novità normativa n. 87-2022 dell'Ufficio del Massimario della Cassazione, pubblicata il 19 settembre scorso (reperibile al seguente link)

vi sono l'approfondimento del concetto di stato di crisi di un'impresa, la sua distinzione dallo stato di insolvenza, nonché l'indicazione degli strumenti e delle modalità di emersione della crisi d'impresa attraverso le attività che devono essere compiute dall'imprenditore e dagli organi di controllo.

L'argomento era stato già trattato in questo blog in occasione dell'entrata in vigore del novellato art. 2086 c.c. e dei riflessi che la nuova norma avrebbe avuto sui modelli 231/01; vale quindi la pena completare l'analisi con la Relazione proposta dall'Ufficio del Massimario alla luce dell'entrata in vigore del nuovo codice della crisi d'impresa e delle norme da questo dedicate alla tempestiva emersione dello stato di crisi (al fine di garantire maggiori possibilità di uscita dalla stessa nel caso sussistano i presupposti per la continuazione dell'attività, ovvero minori danni al sistema economico nel caso invece la crisi sia solo il sintomo di un prossimo stato di insolvenza).

Ciò premesso il concetto di “crisi” viene definito dal legislatore come “lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi” (art. 2 lett. a - CCI).

Lo stato di insolvenza (presupposto richiesto per l'avvio della liquidazione giudiziale) viene invece definito, nella successiva lettera b) del medesimo articolo, “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” (art. 2 cit.).

Con l'introduzione di tale distinzione, secondo la Relazione, il legislatore intende da un lato favorire l'accesso agli strumenti di soluzione della crisi di impresa diversi dalla liquidazione giudiziale (piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e nuovo piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione) e dall'altro garantire l'emersione precoce dello stato di crisi dell'impresa.

In tale ottica il presupposto oggettivo per accedere alla composizione negoziata della crisi viene ampliato al fine di ricomprendere situazioni per così dire di pre-crisi; l'art. 12 comma 1, CCI, consente infatti all’imprenditore l'accesso alla procedura di negoziazione anche “quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa”.

Il medesimo obiettivo - la precoce emersione della crisi - viene perseguito inoltre con l'introduzione di un più puntuale sistema di segnalazione da parte degli organi di controllo interni alla struttura societaria e da parte dei creditori pubblici tributari e previdenziali.

Al fine di evitare responsabilità diventa quindi essenziale per l'imprenditore organizzare la struttura amministrativa e gestionale dell'impresa in modo tale da rilevare tempestivamente una situazione di crisi.

L'art. 3 CCI stabilisce infatti che “l'imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. L'imprenditore collettivo deve invece costituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato (si veda il disposto del nuovo art. 2086 c.c.), ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative.

Le misure e gli assetti di cui si è detto devono consentire di:

a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell'impresa e dell'attività imprenditoriale svolta dal debitore;

b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui all'art. 3, comma 4 CCI;

c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all'articolo 13, comma 2 CCI;

L’art. 3, comma 4 cit. elenca poi specificamente gli indici di “allarme” di cui l'organo di gestione deve tener conto ai fini della rilevazione della crisi ovvero:

a) esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;

b) esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;

c) esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni;

d) esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25 novies, comma 1 CCI.

Nel caso di inattività dell'organo di gestione il legislatore prevede che debba intervenire l'organo di controllo eventualmente nominato.

L'art. 25 octies CCI recita infatti che “l’organo di controllo societario segnala, per iscritto, all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza” di accesso alla composizione negoziata.

La Relazione sottolinea l'importanza della sinergia tra la disposizione sopra descritta e l'art. 2086 c.c., posto che l’attribuzione all’organo di controllo — collegiale o singolo che sia — di un dovere di segnalazione in questa materia significa presidiare anche situazioni deficitarie, nelle quali gli adeguati assetti non siano stati costituiti o lo siano unicamente “sulla carta”.

La segnalazione deve essere fatta per iscritto e deve essere motivata, sia per una esigenza di assunzione di responsabilità nell’atto, sia per ragioni di prova e dimostrazione quindi della specificità della stessa, oltre che di controllo della risposta fornita dall’organo amministrativo rispetto ai temi segnalati per iscritto dall'organo di controllo.

La risposta a tale sollecitazione da parte dell’organo gestorio dev'essere poi fornita entro un termine che non può eccedere i trenta giorni. Tale termine non richiede, secondo l'Ufficio, la compiuta risoluzione dei problemi finanziari, economici o patrimoniali eventualmente oggetto di “allarme”, ma l’individuazione di possibili soluzioni e la pronta attivazione delle iniziative all’uopo previste (del resto la norma dispone che si debba riferire circa « le iniziative intraprese », volendo con ciò sottolineare la tempestività della conseguente attivazione, posto che non è sufficiente la indicazione di astratte soluzioni, ma l’aver già intrapreso delle iniziative al riguardo, pur se le stesse fossero ancora in corso e non ancora completate).

Il mancato riscontro alla richiesta dell'organo di controllo può comportare gravi conseguenze per la società e per chi la gestisce; l’art. 37 comma 2 CCI conferisce infatti ai sindaci il potere di richiedere direttamente l'apertura della liquidazione giudiziale dell’impresa cui sono preposti nell’ipotesi in cui la loro segnalazione restasse “lettera morta” e la crisi sfociasse in una vera e propria situazione di insolvenza.

E d'altro canto l'organo di controllo, sulla base della nuova normativa è destinatario di una serie di altre comunicazioni riguardanti l'impresa la cui conoscenza può indirizzare l'attività di vigilanza e le relative iniziative da intraprendere.

Ci si riferisce in particolare all’art. 25 decies CCI il quale prevede l'obbligo di notizia agli organi di controllo:

- in capo alle banche di ogni variazione, revisione o revoche degli affidamenti alle società clienti.

- in capo ai creditori pubblici istituzionali (INPS, Agenzia Entrate, Agenzia Entrate Riscossione) dei ritardi nel versamento dei contributi previdenziali, dell'imposta sul valore aggiunto o di altri debiti tributari scaduti e non versati oltre i limiti fissati dalla norma di cui all'art. 30 sexies D.L. n. 152/2021 nel testo vigente.

Alla luce di quanto sopra esposto l’organo di controllo che già non avesse effettuato la segnalazione di cui all’art. 25 octies CCI (o adottato altre iniziative di carattere endosocietario), una volta ricevuta la predetta notizia esterna “qualificata” non potrebbe rimanere inerte ma, recepito un tale segnale di “allarme”, dovrebbe immediatamente attivarsi al fine di consentire — stimolando all’uopo l’intervento dell’organo amministrativo — il superamento della situazione di difficoltà, adottando ogni iniziativa opportuna a seconda che si ravvisi una semplice tensione od impotenza finanziaria transeunte, quanto piuttosto uno stato di crisi latente che rischi di aggravarsi compromettendo la continuità e con essa la solvibilità dell’impresa.


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